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Raku
Raku
L’abbiamo presa a prestito, con un rispetto non proprio ortodosso delle origini, dal Giappone, dove viene praticata a partire dal XVI° secolo.
Si tratta di una tecnica particolare; prevede un raffreddamento brusco e affumicatura dei pezzi, incandescenti, appena estratti dal forno. La decorazione è relativamente semplice perchè priva dei disegni sottili tipici della ceramica tradizionale.
Il Raku esalta la freschezza, il carattere intimo e silenzioso del lavoro manuale. L’aspetto esteriore dei pezzi suggerisce un forte senso di ascolto della natura e di partecipazione ad essa.
Quello che soprattutto ci ha attratto, è stata l’idea di essere in rapporto diretto con gli elementi primari: terra, fuoco, aria e acqua.
L’aspetto di particolare concretezza (anche in origine le tazze sembravano quasi scolpite nella roccia o corrose dal tempo), ci ha concesso di affrontare in maniera diretta il problema della nostra urgenza d’espressione.
La terra, dura e pesante, rappresenta la fatica spesso necessaria anche per compiere movimenti semplici; ma la fatica è vinta dalla leggerezza del nostro desiderio. Si trasforma in un oggetto complesso, che trasporta la verità di una condizione difficile e non rinuncia al sogno di pienezza.
Accettando una scelta formale “povera”, dove lo smalto che sfiora la terra brilla dei tesori della fantasia, dove il fuoco che ancora un po’ ci spaventa consolida i nostri oggetti, dove l’acqua e i vapori abbassano la temperatura del nostro lavoro e ci riportano morbidamente alla realtà, crediamo che il nostro gioco sia in grado di affermare il bisogno di ogni uomo di conoscere la propria esistenza, attraverso la libertà, la sfida di esprimersi.
Batik
Batik
E’ un lavoro piuttosto lungo, a dire il vero.
Prima scegliamo la stoffa, poi pensiamo al disegno, insieme vengono i colori, poi è necessario strutturare il lavoro, perché forme e colori non si confondano a vicenda, ma collaborino a determinare l’immagine.
Dopo tutto questo pensamento, all’inizio della realizzazione concreta, viene la cera.
Noi disegniamo con la cera e forse è questo il vero lavoro.
In quel momento tutto si trasfigura e la semplice realtà conosciuta si assottiglia, diventa più sottile e permeabile del nostro cotone.
In quel momento si rende possibile la comunicazione, quasi diretta, tra la nostra tensione a realizzare una forma (fantasia, pensiero, sensazioni) e i materiali e gli strumenti che usiamo, che sono fatti di realtà, ne sono simboli fisici e immediati.
In quel momento la realtà si rende estremamente dinamica ed elastica, si protende ad accogliere tutto, noi e il mondo, passato e futuro.
La cera è il “lubrificante magico” di questo scambio, del passaggio da una situazione di distanza tra noi e le cose ad una nella quale gli oggetti che abbiamo manipolato non sono più quelli che erano, ma sono come animati dal nostro impulso.
E noi?
A noi lasciano la sensazione, protetta e covata dal calore della cera, di poter dare forma alla realtà. Magica cera? Sì, perché all’inizio è dura e fredda, noi la sciogliamo per usarla col pennello, poi alla fine scompare: la grattiamo e la facciamo evaporare col ferro da stiro, per liberare l’immagine.
Tessitura
...tra l’andare
e il venire
il filo dei miei pensieri
intesse dal nulla
le fantasie del mondo.